27 marzo 2024

Gloria Campaner

Pianista e concertista classica di fama internazionale, Gloria Campaner, veneziana, ha fondato il progetto C#/ SeeSharp “La Palestra delle Emozioni”, la sua nuova avventura nello spazio emozionale della musica, un laboratorio per artisti e musicisti prevalentemente, che offre loro le pratiche più efficaci e gli strumenti più utili per prendersi cura della propria emotività ed affrontare con serenità il palcoscenico, cercando di incanalare nella giusta direzione ansia ed aspettative che precedono e a tratti accompagnano la performance pubblica.
Gloria ha acquisito un alto livello di consapevolezza e accumulato molteplici esperienze in ambito performativo e musicale, premesse indispensabili per trasferire ad altri artisti, ma non solo, la capacità di mettere a fuoco le proprie emozioni e vedere nitidamente l’orizzonte in lontananza. Rivolgendosi «a chi studia e suona uno strumento, ma anche a chi deve affrontare una performance in pubblico, oppure un esame – ci racconta la pianista nata a Jesolo, che per amore si è trasferita a vivere sulle colline fuori Torino insieme al marito, lo scrittore Alessandro Baricco – così come chiunque si affacci al palcoscenico della vita, per tutti noi la consapevolezza delle emozioni che proviamo è essenziale: esse sono il sigillo dell’identità fra il corpo e la mente, raccontano di noi molti aspetti che è bene ascoltare».

Luminosa, vitale, sensibile, artista sublime, Gloria Campaner, con la complicità e la stima profonda di Alessandro Baricco e con la collaborazione fondamentale del compositore Nicola Campogrande, già direttore artistico di MiTo Settembre Musica, porta per la prima volta la musica dentro la Scuola Holden. Per i 30 anni della Scuola di narrazione fondata nel 1994. Dal 2 aprile al 14 maggio il General Store della Holden, a Borgo Dora, accoglie “Seven Springs – Il Suono della Holden”, 7 concerti, alle 7 di sera, a 7 euro, per 7 anni.
Dalle pianiste francesi Katia e Marielle Labèque, per un concerto a quattro mani e a due pianoforti, alla musica classica indiana dei Mohan Brothers, per la prima volta in Italia. Dall’incontro tra Simone Cristicchi e Amara al pianista Hyung-Ki Joo, con la voce di Serena Gamberoni e le acrobazie di due pattinatori professionisti con i loro rollerblades da freestyle. Dal raduno notturno di violoncelli con la presenza molto attesa di Giovanni Sollima. E poi Sergej Krylov, Miriam Prandi e il Trio Kronthaler.

Gloria Campaner, con Campogrande avete messo a punto “una serie di vibrazioni” che si discosta molto da una semplice stagione concertistica. C’è molto di più e di diverso.

«E’ il frutto di una lunga riflessione che abbiamo fatto io e Nicola Campogrande, a cui sono molto grata per essere così presente e vicino in questo percorso, e anche per la sua grande esperienza come direttore artistico. Ci sembrava giusto poter dare all’artista la possibilità di una narrazione. E’ bello dopo aver suonato rimanere nello stesso posto e continuare a godere dell’energia meravigliosa che l’artista stesso ha creato con il pubblico. Agli spettatori può interessare scoprire magari qualcosa della vita, delle passioni, degli interessi degli artisti. Tutto questo abitualmente resta taciuto. C’è una barriera. L’artista sul palco, il pubblico altrove. Avvicinarli, metterli in dialogo, è un dono in più. Perché l’artista, in questo secondo tempo, si apre e si racconta liberamente. Inoltre c’è anche un terzo tempo dove le persone, ad esempio, salgono sul palco, o girano per il General Store, così fanno gli artisti, si trattengono alla festa e si chiacchiera assaggiando anche i due cocktail che Martini ha inventato per Seven Springs e la Holden che riprendono il mood e il flavour di questa esperienza, anche nei colori».

Quali sono però gli elementi, oltre al pubblico e agli artisti, che possono renderla possibile?

«Intanto l’intimità, la prossimità, lo spazio stesso è speciale. Una sala bellissima anche se non c’è una grossa capienza, e questo va detto anche per tutta questa gioia per i sold out. Ovviamente avere la responsabilità di riempire un grande auditorium come ce ne sono diversi in città, è tutta un’altra faccenda, noi siamo felici ma ci rendiamo conto che ci sono delle dimensioni che rendono possibile questa voglia di festa, di prossimità, di stare insieme. Ci viene da pensare che si sprigioneranno delle energie nuove, ci sono tante novità sia per gli artisti che per gli ascoltatori, e poi è la prima serie di concerti aperti al pubblico dentro la Scuola Holden. Un modo bellissimo per festeggiare i 30 anni. Non sappiamo neanche noi che cosa accadrà precisamente».

E’ probabile che anche i concerti delle prossime sei edizioni negli anni a venire andrebbero subito esauriti se si potessero già acquistare i biglietti. Che cosa è scattato nel pubblico?

«Sono d’accordo, è scattato qualcosa sicuramente. E’ stato un grande dono per noi, anche un segno. Si vede che la gente aveva bisogno di qualcosa di nuovo, di una ventata di leggerezza, siamo così grati ed entusiasti e non vediamo l’ora che questa festa abbia inizio. Abbiamo giocato con la cabala del numero sette, ma volevamo davvero una festa per tutti, accessibile, quindi per questi concerti abbiamo fissato un prezzo popolare del biglietto a 7 euro, in cui è anche compreso il primo cocktail che offre la Scuola Holden. Tutto questo per consentire a chiunque di partecipare».

La musica è l’arte che forse, più di tutte le altre, permea la nostra vita. Come è entrata la prima volta nella tua?

«E’ entrata per gioco. Per il mio compleanno dei 3 anni è arrivato un pianoforte giocattolo, regalato da una zia paterna, di colore bianco e rosso. Ho iniziato a fare per gioco dei concerti, simulavo la performance, abbassavo le luci, mettevo le bambole e i peluche a fare il pubblico. Una cosa abbastanza singolare non avendo musicisti in famiglia e non avendo mai assistito prima ad uno spettacolo musicale. Poi crescendo ho frequentato un corso di propedeutica musicale, anche lì un po’ per una casualità, e in questo percorso ho incontrato quella che è poi diventata la mia prima insegnante di pianoforte, Daniela Vidali. Da lì è cominciato tutto».

Quando ti sei poi ritrovata a calcare palchi prestigiosi come la Carnagie Hall di New York o l’Auditorium Parco della Musica di Roma, hai pensato a te bambina?

«Quella bambina era lì con me anche in quelle situazioni. E’ un gesto importante, da adulti, riconnettersi con il fanciullo interiore e ricordarsi anche quella parte più istintiva, più innocente e meno intaccata dalla vita stessa. Ma per suonare veramente bene, come diceva il grande pianista e musicologo Piero Rattalino, devi essere contemporaneamente dentro ogni nota e anche sopra tutte le parti, vedere dall’alto il palco, le luci, e anche te stesso. Non è per nulla facile».

Sei tornata da un viaggio molto intenso ed affascinante in Venezuela e in Amazzonia. In che modo si è compiuto l’incontro in quelle terre tra il tuo progetto C# See Sharp e quello di El Sistema che offre educazione musicale pubblica a giovani e bambini spesso in condizioni di indigenza?

«Ho visto e ascoltato qualcosa di straordinario. El Sistema riconosce alla musica una valenza sociale, la capacità di dare dignità sociale a tutti gli individui. Fare parte di un’orchestra, di un coro, cambia la vita delle persone, le eleva. E tutti questi giovani suonano incredibilmente bene. Ci sono più di trecento orchestre giovanili, l’Orquesta de Papel è per bimbi piccolissimi che insieme ai loro insegnanti e tutor costruiscono, giocando, i loro strumenti di carta. Cominciano col gioco a stare dentro al suono fin dalla più tenera età. Con C# See Sharp ho portato il mio lavoro allestendo dei laboratori con gli studenti e musicisti di varie orchestre. E poi ho fatto anche delle lezioni di pianoforte di musica da camera che sono sfociate anche in un concerto che abbiamo realizzato insieme. Hanno un gusto musicale, una preparazione e un’accuratezza incredibili. In Venezuela ho scoperto insomma delle realtà meravigliose, e una grande accoglienza e un grande fermento culturale. Devo constatare purtroppo che oggi, anche dalla Farnesina, ci viene restituita un’immagine di questa nazione per certi aspetti obsoleta. Non è più pericolosa come viene ancora classificata su Viaggiare Sicuri. Molto è cambiato ed in meglio».

Proprio Alessandro Baricco ci ha insegnato, in una intervista recente nel programma tv “Che tempo che fa”, che la realtà è fatta di fatti e narrazione.

«E’ così. E in Venezuela i fatti sono diversi da quelli che ci vengono riferiti qui in Italia. E quindi andrebbe forse cambiata la narrazione».

Ph.credits: Damiano Andreotti